Interferenze geografiche

Nell’ambito del linguaggio verbale dedicherei ancora un piccolo approfondimento a un fattore di pregiudizio a mio avviso notevole nella dinamica dell’ascolto: sto parlando dei particolarismi regionali ossia gli accenti (e relative cantilene che rientrano, tuttavia, nel para-verbale V.1.1.4).

Nell’introduzione di “Work on your Accent”[1], l’autrice Helen Ashton, fa una domanda molto semplice: perché ridurre il proprio accento? Le tre risposte che dà sono in effetti molto elementari eppure cruciali.

1. In primo luogo sostiene che le persone ci giudicano quando parliamo, sia a un livello professionale sia personale. Forse non ci piace ammetterlo, ma tant’è. Se, in una conversazione, siamo nella posizione di “riceventi” (per esempio: un amico ci confessa un segreto d’entità grave), per quanto ci si sforzi di accogliere e raccogliere il bisogno di sfogo dell’interlocutore, se siamo sottoposti allo stress del decifrare suoni e riconvertire strafalcioni nella pronuncia, possiamo ritrovarci a prestare un ascolto parziale o falsato da reazioni involontarie come una risata o uno sguardo corrucciato e, quindi, l’ascolto verrà interrotto.
2. Una seconda interessante considerazione di Helen Ashton sta nel fatto che un forte accento è spesso percepito tra i parlanti come pertinente a un livello basso di conversazione, il che offende e frustra l’interlocutore che, ad esempio, potrebbe essere un datore di lavoro, con conseguenze spiacevoli di opportunità perdute. Nel 2013 e fino al 2016 fui chiamato a insegnare Comunicazione Efficace presso la facoltà di Economia e Commercio La Sapienza di Roma in occasione del MUMM (Master Universitario in Marketing e Management). La tutor del master mi raccontò di come spesso candidati di valore venissero scartati attraverso colloqui preliminari telefonici. Da una statistica risultò che la maggior parte di coloro che non arrivavano al colloquio ad personam proveniva dal Sud Italia. Apparentemente, per quanto barbara fosse la pratica, l’accento meridionale destava un pregiudizio nell’ascoltatore. Mi fu dunque espressamente richiesto di curare l’aspetto verbale della comunicazione. In breve: le mie lezioni divennero dei veri e propri corsi di dizione in compendio perché quello era il contenuto di cui la classe aveva fame e bisogno.
3. Terza ed ultima osservazione di Helen Ashton: un forte accento, per quanto esibito con padronanza grammaticale e appropriatezza lessicale, può essere d’ostacolo alla comprensione e farci sentire meno sicuri di noi quando comunichiamo.

Questo è particolarmente vero quando, per esempio, ci ritroviamo a parlare in un’altra lingua. Il modo in cui parliamo ha effetto anche sul modo in cui ascoltiamo; non conoscere le corrette regole di pronuncia di un’altra lingua può portare a incomprensioni e opportunità perdute. O ilarità, secondo le situazioni.

[1] Trad.: Lavora sul tuo accento, edito da Collins, di Helen Ashton & Sarah Shepherd.